Porto III

Kalinga è una città bellissima. Da questa città prende il nome un’intera regione. I campi danno due raccolti all’anno e la selvaggina è così abbondante che gli uomini si stancano di andare a caccia per l’irrisoria facilità di conquistare le prede. La temperatura è costantemente mite e le acque dei numerosi fiumi sono potabili e ricche di sali minerali terapeutici. Su questo paradiso si affacciano le centomila «spade affilate» dell’imperatore Asoka, nipote di Candragupta, detto l’unificatore dell’alta India. È l’anno 273 a.C. e una tempesta di ferro e fuoco sta per abbattersi su quella terra compresa tra l’attuale Calcutta e Madras.

Asoka è giovane, capace, intelligente, colto, ambizioso. II nonno è stato un grande e lui non vuole essergli da meno. Per questo ha portato gli arcieri mongoli, la cavalleria degli altipiani delle nevi, gli elefanti corazzati, le fanterie ricoperte di metallo e cuoio, gli astati dagli elmi e pettorali inscalfibili, i frombolieri infallibili e le macchine da guerra che non lasciano scampo. La regione, l’unica a essere libera dal suo potere, sarà ridotta in schiavitù. Ha osato non pagare i tributi e adesso sarà sottomessa. Non dovrebbe essere una campagna lunga, perché gli abitanti sono pacifici e da tempo non sono abituati alle guerre.

Così il segnale è dato e l’invasione comincia.

Come le truppe iniziano a marciare sulla terra sacra di Kalinga, innumerevoli persone escono dai boschi, si lanciano dagli alberi, si ergono dai covoni. Sono armati di roncole e bastoni, non hanno scudi e archi. Privi di lance ed elmi, sono praticamente disarmati. Ma vogliono difendere la propria terra.

Asoka si stupisce e in un lampo comprende che quella gente si farà massacrare, ma non cederà di un palmo. Il suo esercito ne farà scempio. Vorrebbe tornare sulle proprie decisioni, ma l’orgoglio gli ottenebra la vista. Lo scontro è inevitabile. Durerà un mese intero.

Ogni zolla di terra è ricoperta da un cadavere, ogni fiume è rosso di sangue. Asoka ha vinto ma tutti gli abitanti di Kalinga sono morti. Un milione di persone sono state stroncate dai conquistatori. L’imperatore adesso comanda su un regno di morti. Per questo piange amaramente sulla torre più alta della città.

Ha capito il suo errore e promette agli dei e a se stesso che non permetterà mai più una guerra simile. Decide di convocare a sé i massimi saggi di tutto il mondo e di chiedere consiglio su come bandire lo strazio degli eccidi; manda per ogni dove i suoi messi, accompagnati da letterati, filosofi e poeti. Cercheranno i custodi del sapere, dovunque essi siano. Dopo nove anni la missione è compiuta.

Nove sapienti sono di fronte all’imperatore. Sanno di tutto su tutto. Desiderano la pace per le genti e si adoperano affinché, nel rispetto della libertà e dell’autodeterminazione, non accadano mai eventi che possano portare l’umanità alla distruzione. Insieme giurano. La promessa è per tutti i tempi a venire. Ma l’accordo è segreto e segrete saranno le loro azioni. Nessuno mai dovrà sapere da dove arrivano gli «aiuti» che misteriosamente condurranno l’umanità a soffrire di meno o addirittura ad abolire la piaga della guerra.

Questa è la leggenda dei Nove Ignoti. Secondo la tradizione operano tuttora. Alla morte di uno di loro, si cerca il saggio che abbia la massima conoscenza in quel campo. Non deve essere soltanto un esperto, deve dimostrare di avere a cuore le sorti dell’umanità e di conoscere il bene. Un sapiente privo di egoismi. Queste le qualità per diventare uno dei Nove. Questa società di illuminati ha perpetrato se stessa come un organismo che riesce a ricreare ex novo la sua parte malata, diventando praticamente immortale. Il mito vuole che per ventitré secoli il gruppo vegli su di noi. Senza chiedere nulla; senza pretendere nulla, senza riconoscimenti e plausi. In silenzio e soprattutto in segreto.

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2 Risposte

  1. Credo, credo fermamente in Dio. La mia fede mi concede di essere certa che i Nove Ignoti (o Angeli) sono in mezzo a noi. Noi li conosciamo. Se sappiamo “ascoltare” con il nostro cuore (rara dote che solo pochi sanno coltivare) ne sentiamo le positive vibrazioni che sanno accompagnarci verso la scelta giusta. Essere “BUONI”, fino in fondo, anche questo è un dono concesso a POCHI…SSSSSIMI. Io alcuni li conosco. Sono gli amici del cuore. Quelli che ci sono senza bisogno di esserci, quelli che sanno senza bisogno di parlare, quelli che mentre ti guardi negli occhi già sai. Mi ritengo privilegiata in questo senso … li so cercare, riconoscere e portare SEMPRE e PER SEMPRE dentro al mio cuore.

  2. Questo è Bello. Questo è Buono.

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