di ritorno da Verona

Questo post  è dedicato a Rosario Naddeo. Stavo facendo lezione e poi arriva Cristina, la segretaria del Bernheim che mi dice che un signore mi aveva portato una bottiglia di vino ed una lettera ed era fuggito via. Mi dispiace di non averlo incontrato, ma ho letto la sua lettera a tutti gli studenti, soprattutto ho detto del vino che era abbinato a Jung, uno splendido Taurasi del 2000. Tutto ciò, caro Rosario, mi ha provocato una commozione al di là dello struggimento. IMMOTA. FORTE.

p.s.1: a Verona ho visitato la mostra di Escher. Merita davvero. e poi il catalogo costa relativamente poco.

p.s.2: tarte taten (si scrive così?) stradolciosa per tutti.

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Buon senso animale — “Gatti a Venezia”

Gatti a Venezia

Una delle città legate al gatto è Venezia. Prima ancora che la città si organizzasse attorno a Rivo Alto (Rialto) e si formasse la grande Serenissima, questo animale veniva considerato di utilità pubblica e come tale, doveva essere non solo curato, ma anche rispettato.

I gatti della città erano dei veri e propri predatori di topi che invadevano le case, i mercati ed i magazzini. Lottavano quotidianamente con le famose “pantegane”, grossi topi originari della Grecia.

I numerosi contatti commerciali tra Venezia e Bisanzio portarono all’importazione di tessuti meravigliosi trapunti d’oro e d’argento, raffinati gioielli carichi di pietre preziose, profumi, spezie rare. I mercanti veneziani scoprirono un’altra mercanzia altrettanto preziosissima, quella di animali di rara bellezza con occhi di oro, pelo lunghissimo e setoso: i gatti d’angora, considerati a Bisanzio gatti di compagnia. Nella città lagunare, non c’era palazzo abitato da nobili e mercanti in cui non si trovasse un gatto fiabesco, sdraiato mollemente su cuscini di fine broccato e lampasso, trattati come piccoli principi. Questa moda si diffuse velocemente facendo salire vorticosamente le richieste, a tal punto da essere pagati a peso d’oro.

A Venezia si ebbero così due tipologie gattesche: una di gran lusso e l’altra di gatti indigeni cosiddetti lagunari, non belli, ma certamente bravissimi per la caccia a topi e pantegane.

Ada Pavan Russo, Il Gatto: Anima di Iside, Tempio di Iside, 2002, pag. 35